Ai tempi delle superiori ho fatto nuoto a livello agonistico. Pare sia un bellissimo sport, sicuramente emozionante quando lo segui in TV, ma io lo odiavo. Mi allenavo tutti i giorni, in alcuni periodi due volte al giorno, alle 6 del mattino prima di scuola e al pomeriggio.
Ore di vasche avanti e indietro, la noia, il respiro controllato e un pendolo di fatica che rimbalza da un lato all’altro della vasca.
Sei solo.
Non hai la goliardia dei compagni, la chiacchiera; sei da solo dentro l’acqua, avanti e indietro, per centinaia di vasche al giorno, tutti i giorni.
La maggior parte dei tuoi coetanei giocano a calcio e hanno una partita tutte le settimane, se una va male, la settimana dopo ci riprovano.
Tu no. Tu che nuoti hai 3 o 4 gare all’anno e se durante quei pochi minuti perdi la concentrazione saprai che tutte quelle ore che avresti potuto impiegare in chissà quante altre cose saranno state vane e dovrai riprovarci ancora e ancora.
Mentalmente ti spegne. E a un certo punto ho deciso che era l’unica cosa che poteva insegnarmi.
Spegnere il cervello. Non è facile farlo e nemmeno spiegarlo, ma dopo giorni e giorni in cui stare in quella vasca mi risultava insopportabile sono riuscito ad allenare la mia mente a concentrarsi sull’unico pensiero che mi avrebbe fatto arrivare alla fine di quello strazio: non sarebbe durato per sempre.